Contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica: luci ed ombre del ddl n. 923

Alimentata dal vento del clamore mediatico degli ultimi fatti di cronaca, si propaga la richiesta collettiva di maggiore sicurezza e protezione dalla violenza contro le donne. Tale avanzare è stato subito placato da una rapida approvazione in Senato, in via definitiva e all’unanimità della legge n. 168 del 24 novembre 2023 (destinata ad entrare in vigore il 9 dicembre prossimo).

Il testo del disegno di legge, presentato dal Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, di concerto con il Ministro dell’interno e il Ministro della giustizia, inserendosi sul percorso tracciato dalle riforme precedenti, si compone di diciannove articoli volti a rafforzare la protezione delle vittime di violenza di genere. 
Le due macro-aree di intervento, che già una prima lettura permette di individuare, sono riconducibili al campo della prevenzione e protezione dalla reiterazione della violenza, oltre che della formazione per gli addetti ai lavori. 

Tra gli aspetti più significativi della prima area di intervento si evidenzia, in particolare, il potenziamento delle misure di prevenzione personali. 
L’evidente favor verso le misure di prevenzione è mosso dall’esigenza di costruire una risposta snella, tempestiva e che sia indipendente dagli sviluppi del procedimento. 
Invero, la tendenza complessiva è quella di ricorrere a misure il più possibile svincolate da presupposti oggettivi e strutturati, quali ‘i gravi indizi di colpevolezza’ o le ‘esigenze cautelari’. 
In particolare, l’art. 1 estende l’applicabilità della misura di prevenzione dell’ammonimento d’ufficio del questore anche ai casi in cui vengano in rilievo fatti riconducibili ai reati – consumati o tentati – di violenza privata, di minaccia aggravata, di atti persecutori, di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, di violazione di domicilio e di danneggiamento. 
A tal proposito, si evidenzia come critica l’estensione dell’ammonimento anche al reato di diffusione non consensuale di immagini sessualmente esplicite, atteso che non si tratta di un reato a formazione progressiva: con la diffusione il danno è conclamato (https://www.direcontrolaviolenza.it/ddl-roccella-la-prevenzione-non-si-fa-con-gli-strumenti-di-polizia/). 
L’articolo 2 apporta, invece, alcune modifiche al codice antimafia e delle misure di prevenzione (D. Lgs. 159/2011). 
Più nello specifico, si estende l’applicabilità da parte della autorità giudiziaria delle misure di prevenzione personali – attualmente applicabili ai soggetti indiziati dei delitti di atti persecutori e di maltrattamenti contro familiari e conviventi – anche ai soggetti indiziati dei reati  di omicidio, lesioni gravi, aggravate dal legame familiare o affettivo, deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso e violenza sessuale; in questo contesto si interviene sulla misura della sorveglianza speciale, i cui contenuti si possono conformare a quelli tipici degli ordini di protezione e possono essere sostenuti dal ricorso al monitoraggio elettronico.

In merito di misure cautelari si è introdotto una nuova disposizione, l’art. 362-bis, volta a garantire maggiore celerità nella loro applicazione, stabilendo che «qualora si proceda per il delitto di cui all’articolo 575, nell’ipotesi di delitto tentato, o per i delitti di cui agli articoli 558-bis, 572, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583-bis, 583-quinquies, 593-ter, da 609-bis a 609-octies, 610, 612, secondo comma, 612-bis, 612-ter e 613, terzo comma, del codice penale, consumati o tentati, commessi in danno del coniuge, anche separato o divorziato, della parte dell’unione civile o del convivente o di persona che è legata o è stata legata da relazione affettiva ovvero di prossimi congiunti, il pubblico ministero, effettuate le indagini ritenute necessarie, valuta, senza ritardo e comunque entro trenta giorni dall’iscrizione del nominativo della persona nel registro delle notizie di reato, la sussistenza dei presupposti di applicazione delle misure cautelari». 
In proposito, si rileva che il termine perentorio di trenta giorni rischia di essere un’arma a doppio taglio e, di fatto, rivelarsi inefficiente. Verosimilmente, il dubbio cautelare può non essere superabile in un tempo così contratto. 
Inoltre, la misura dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, con divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti della persona gravemente indiziata di una serie di delitti di violenza di genere e domestica, indicati dal nuovo comma 2-bis dell’art. 384 bis, è stata resa applicabile anche fuori dai casi di flagranza di reato.
Per quanto riguarda la flagranza, peraltro, particolarmente eccentrica, per come è formulata, appare l’introduzione al ricorso dell’arresto in flagranza differita – istituto introdotto nell’ordinamento dal d.l. n. 28 del 2003 per contrastare il fenomeno della violenza in occasione di manifestazioni sportive e calcistiche -. 
L’articolo 10, con formule ampie e di dubbia costituzionalità, introduce nel codice di procedura penale l’art. 382-bis, al fine di consentire l’arresto in flagranza differita nei casi di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di maltrattamenti contro familiari e conviventi, nonché di atti persecutori. 
L’articolo 12, attraverso alcune modifiche al codice di procedura penale, potenzia, poi, lo strumento del braccialetto elettronico. 

Per quel che concerne l’altra macro-area di intervento, sono state introdotte nuove disposizioni, che, in linea con gli obiettivi della Convenzione di Istanbul, prevedono la predisposizione, da parte dell’Autorità politica delegata per le pari opportunità, anche con il supporto del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne, sentita l’assemblea dell’Osservatorio stesso, di apposite linee guida nazionali al fine di orientare un’adeguata ed omogenea formazione degli operatori.  
Segnatamene, gli articoli 5 e 6 recano misure volte a favorire la specializzazione degli uffici requirenti e prevedono iniziative formative per gli operatori che, a diverso titolo, entrano in contatto con le vittime.

Da ultimo, si accoglie con favore l’art. 15 in ordine all’intervento sulla sospensione condizionale della pena che prevede che la partecipazione ai programmi di recupero possa considerarsi realizzata soltanto quando abbiano dato esito positivo. Con la conseguenza che, in caso contrario, il beneficio della sospensione condizionale dovrà essere revocato, ai sensi dell’art. 168, comma 1 n. 1, c.p. 
In aggiunta, si prevede che l’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) debba svolgere un’attività di controllo e verifica della partecipazione del condannato a pena sospesa ai percorsi di recupero, comunicandone al Pubblico ministero l’esito. 

Insomma, da una prima lettura, al netto delle novità degne di plauso, il legislatore sembra continuare a regolamentare con modalità alluvionali e disorientate. 
Lo strumentario a disposizione, che implicitamente tradisce una falsa rappresentazione emergenziale del fenomeno (https://www.istat.it/it/violenza -sulle-donne), richiede un’impostazione più organica, dalla quale possa emergere un corpus normativo coerente e meno frammentato. Altrimenti, qualsiasi linea di intervento è destinata a collassare sotto il peso della mancanza di una visione di insieme. 
Per esempio, il ddl poteva essere l’occasione per dare i criteri per utilizzare questi strumenti e per affrontare, dunque, il tema della valutazione del rischio. 
E, invece, ancora una volta, rimane tra i grandi assenti all’appello.  
A tal riguardo, si sottolinea che l’art. 51 della c.d. Convenzione di Istanbul – rubricato risk assessment e risk management–, impone l’obbligo di garantire che tutte le autorità competenti, non solo le Forze dell’ordine, valutino efficacemente e realizzino un piano per gestire i rischi di sicurezza in cui si trova una specifica vittima. 
I rischi, infatti, vanno pesati caso per caso in conformità a procedure standardizzate e tessendo una rete di collaborazione e coordinamento le une con le altre. 
Allo stato dell’arte, in Italia, delle Linee guida non vincolanti sulla valutazione del rischio sono state definite dall’Allegato D del secondo PAN sulla violenza basata sul genere e indirizzate a tutti gli attori istituzionali e non istituzionali che si occupano del tema. 
Suddette Linee guida suggeriscono l’utilizzo sperimentale del protocollo riconosciuto a livello internazionale SARA per valutare il rischio, compreso quello di letalità, che gli autori di violenze domestiche rappresentano per le proprie vittime. 
Da allora, il protocollo SARA – e le sue versioni aggiornate SARA-Plus e SURPLUS –, è stato riconosciuto come strumento operativo standard per i funzionari delle forze dell’ordine ed è stata offerta una formazione specifica per promuoverne l’uso tra le loro fila. 
Oltre a ciò, anche le Linee guida per gli operatori del settore sanitario nei pronto soccorso – il c.d. Codice Rosa – contengono misure su come valutare il rischio di ri-vittimizzazione nei casi di maltrattamento, e, pertanto, rappresentano un’utile bussola per orientarsi in maniera sistematizzata, sulla base di principi scientifici. 
Tuttavia, nella sua relazione del febbraio 2018, la Commissione d’inchiesta del Parlamento sul femminicidio e la violenza basata sul genere – come le Associazioni di donne, nel loro Rapporto d’ombra – ha osservato che, sebbene vi sia stato un aumento della consapevolezza e della professionalità in questo settore, persistono degli elevati livelli d’inefficienza. 
E, dunque, in molti casi, la valutazione del rischio non viene affatto eseguita, mentre in altri, gli ufficiali di polizia lo valutano in base alle proprie esperienze e capacità intuitive e non, più propriamente, servendosi di parametri strutturati e standardizzati. 
Peraltro, quelle valutazioni del rischio non essendo parte di un’attività multi-agency, non hanno la possibilità di circolare virtuosamente tra gli altri enti istituzionali competenti, con un risultato che si rivela fine a sé stesso e la procedura vana e anodina (v. https://www.coe.int/en/web/istanbul-convention/italy. 2020, §§ 226 ss. v. https://www.direcontrolaviolenza.it/wp-content/uploads/2019/02/Rapporto-ombra-GREVIO.pdf).

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