L’eteronormatività della legge sulla procreazione medicalmente assistita: (una o più) questioni di legittimità costituzionale

1. Nuove questioni di legittimità costituzionale

Recentemente, alcuni giudici di merito hanno sollevato due questioni di costituzionalità (rispettivamente, qui e qui) riguardanti la l. n. 40/2004, che disciplina la materia della procreazione medicalmente assistita (da qui in avanti, «PMA»). 

Il primo caso, esaminato dal Tribunale di Firenze, riguarda il profilo dell’accesso alle tecniche procreative in riferimento a una donna single. L’accesso alla PMA è, infatti, limitato dalla legge alle sole «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi» (ex art. 5). 

Il secondo caso, invece, riguarda la problematica della trascrivibilità dell’atto di nascita di un minore nato in Italia e concepito all’estero da una coppia omoaffettiva femminile attraverso fecondazione eterologa (e, quindi, con donazione di gameti maschili). In quest’ultimo caso, il Tribunale di Lucca ha sollevato la questione relativamente alla possibilità di riconoscere direttamente nell’atto di nascita anche il legame tra il nato e la madre c.d. intenzionale (ovvero colei che ha condiviso il progetto genitoriale con la madre biologica ed ha prestato il consenso alla fecondazione avvenuta all’estero).  

Entrambi i casi richiamati mettono in discussione il modello di genitorialità presupposto dal legislatore. Le questioni sollevate, dunque, evidenziano importanti profili di criticità della legge n. 40, in riferimento a nuove esigenze sociali e relazionali, a fronte delle quali il legislatore pare rimanere inerte. Per questo, tali questioni meritano indubbiamente un (seppur breve) approfondimento. A tal fine, è necessario preliminarmente richiamare le numerose occasioni in cui la Corte costituzionale si è espressa in materia. 

2. La l. n. 40 e la famiglia ad instar naturae

2.1 Sui requisiti oggettivi per l’accesso alla PMA 

I numerosi interventi della Corte costituzionale sulla legge n. 40 ne hanno, nel tempo, modificato l’impianto originario, con particolare riferimento ai requisiti oggettivi definiti nella legge. Tali decisioni, quindi, pur avendo indirettamente esteso l’accesso alla PMA a nuove categorie di soggetti, non hanno mai direttamente inciso sul modello eteronormativo imposto dall’art. 5 (che riguarda, invece, i requisiti soggettivi).

In merito, sono ben note le sentenze che hanno dichiarato l’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa (così estendendo l’accesso alle coppie sterili in senso assoluto) e del divieto di diagnosi preimpianto (così estendendo l’accesso alle coppie fertili, ma portatrici di gravi malattie genetiche), rispettivamente con sentenza n. 162 del 2014 e con sentenze nn. 96 e 229 del 2015. 

2.2 Sui requisiti soggettivi per l’accesso alla PMA 

Nel tempo, la Corte ha anche avuto modo di considerare le nuove istanze sociali conseguenti alla necessità di valorizzare anche quei rapporti intersoggettivi non inquadrabili in un modello eteronormativo. Questo ha permesso un’almeno parziale espansione delle tutele per la madre intenzionale, pur non avendo mai portato a un superamento della eterogenitoriaità prevista dalla l. n. 40. Con sent. n. 225 del 2016, ad esempio, la Corte ha riconosciuto il diritto del minore (nato da fecondazione eterologa) a conservare rapporti significativi con la genitrice intenzionale, in caso di interruzione del rapporto affettivo di quest’ultima con la genitrice biologica. 

Tuttavia, la Corte ha sempre negato la sussistenza di un profilo discriminatorio verso le coppie omoaffettive femminili, a cui la legge nega l’accesso alla PMA, ritenendo che l’infertilità “fisiologica” della coppia omoaffettiva non fosse equiparabile all’infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive. La Corte, quindi, richiamando la discrezionalità legislativa sulla questione, ha adottato una posizione ostativa al riconoscimento degli effetti civili della genitorialità di tali coppie nell’ordinamento interno (sentt. nn. 221 del 2019 e 230 del 2020) [per un’analisi della giurisprudenza costituzionale sulla PMA, v. qui].

Si comprende, quindi, l’importanza delle questioni di legittimità recentemente sollevate, che mettono in discussione il modello di famiglia ad instar naturae scelto dal legislatore del 2004. 

3. Nuove questioni di costituzionalità 

3.1 Prima questione: donne single e riproduzione

Il Tribunale di Firenze ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in merito all’art. 5 della l. n. 40, ritenuto in conflitto, in primis, con l’art. 3 Cost. I giudici fiorentini, infatti, hanno ritenuto che la norma ingeneri un’ingiustificata disparità di trattamento tra categorie di soggetti (coppie o singoli), sottolineando come l’ordinamento italiano in realtà tuteli anche la famiglia monogenitoriale (ad esempio, attraverso l’adozione in casi particolari di persone singole).

Un ulteriore profilo discriminatorio è stato individuato nel diverso caso in cui la donna single si rechi all’estero per accedere alle tecniche procreative (dato che in questa situazione il riconoscimento del rapporto di filiazione con il nato è pacifico). Vi è però da notare che, nonostante la condanna al c.d. «turismo procreativo» presente anche nell’ordinanza in esame, già in passato la Corte aveva chiarito che «il solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all’estero non può costituire una valida ragione per dubitare della sua conformità a Costituzione» (sent. n. 221/2019). 

Gli ulteriori parametri costituzionali considerati sono gli artt. 2 e 13 Cost., a tutela del diritto della persona di formare una famiglia anche con figli non biologici, e, quindi, a tutela della libertà di scelta riguardo alle scelte procreative. Peraltro, già in passato la Corte aveva riconosciuto che le «esigenze della procreazione» fossero meritevoli di tutela costituzionale (seppur da bilanciare con la tutela dell’embrione, v. sent. n. 151/2009). 

Ulteriori parametri costituzionali violati sono individuati nell’art. 32 Cost., in riferimento al diritto alla salute (anche richiamando il fattore temporale legato alla fertilità) e nell’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU e agli artt. 3, 7, 9 e 35 della Carta di Nizza (in riferimento alla tutela della vita privata e familiare e al principio antidiscriminatorio). 

1.2 Seconda questione: una coppia al femminile

Diversamente, la questione sollevata dal Tribunale di Lucca non riguarda direttamente il già menzionato art. 5, ma l’art. 8 (che disciplina lo status giuridico dei nati a seguito di PMA) e l’art. 9 (che pone il divieto del disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre, oltre a sancire l’insussistenza di legami parentali tra il donatore dei gameti e il nato mediante tecniche di fecondazione eterologa).

Nello specifico, la questione verte sul riconoscimento dello status di figlio in riferimento alla madre intenzionale. Il caso ha quindi ad oggetto l’atto di nascita di un minore concepito all’estero attraverso fecondazione eterologa e nato in Italia, all’interno del progetto di genitorialità condiviso da due donne. Secondo la coppia resistente in giudizio, gli articoli menzionati, se interpretati in modo conforme ai principi costituzionali, non giustificherebbero alcuna discriminazione nella tutela da riconoscere al nato da fecondazione eterologa, a prescindere dal sesso delle persone che compongono la coppia genitoriale. 

La questione è oggetto di un’evidente lacuna normativa, già espressamente censurata dalla Consulta nella sentenza n. 32 del 2021. In questa decisione, riguardante un caso analogo, la Corte, pur dichiarando inammissibile la questione sollevata, aveva auspicato l’intervento del legislatore in merito, prefigurando di intervenire nuovamente nel caso (affatto raro) di protratta inerzia del legislatore. 

Con una lunga ordinanza, i giudici lucchesi hanno puntualmente indicato le ragioni per cui hanno ritenuto non condivisibile l’interpretazione fornita dalle parti ricorrenti (anche alla luce di una lettura sistematica della l. n. 40, che in più norme richiama e/o presuppone un unico modello di genitorialità). Peraltro, i giudici precisano che il problema si pone solamente laddove il figlio o la figlia siano nati in Italia, dato che è ormai pacificamente riconosciuta la trascrivibilità degli atti di nascita esteri, recanti l’indicazione sia della madre biologica che di quella intenzionale (Cass., sentt. nn. 19599/2016, 14878/2017, 23319/2021 e 32527/2023).

Data l’impossibilità di un’apertura in via esegetica degli artt. 8 e 9 della l. n. 40 (e, conseguentemente, dell’art. 250 c.c., in merito al riconoscimento della filiazione), i giudici hanno quindi sollevato la questione di costituzionalità, in riferimento a una possibile violazione degli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma della Cost. (quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 CEDU e agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza).

4. Alcune riflessioni conclusive

Dalle questioni ivi esaminate, pare che la produzione giurisprudenziale della Corte costituzionale in merito alla l. n. 40 non sia destinata ad esaurirsi (recentemente, ad esempio, la sent. n. 161/2023 aveva sancito l’irrevocabilità del consenso paterno dopo la fecondazione dell’ovocita, anche di fronte alla sgretolazione del progetto genitoriale originario, v. Zamperini (a)). Indubbiamente, la materia incide sulla sfera più intima della persona, dato che coinvolge la sua autodeterminazione riproduttiva e al desiderio di compimento di un progetto genitoriale. 

A latere, vi è da sottolineare le ragioni per cui le coppie omoaffettive dei casi qui esaminati sono femminili. I casi riguardanti la PMA e le coppie omoaffettive maschili, infatti, sollevano la distinta, ma collegata, questione della c.d. «maternità surrogata» (in riferimento al linguaggio utilizzato dal legislatore), vietata ai sensi dell’art. 12, co. 6 della l. n. 40. Il tema è certamente connesso al superamento di una visione eteronormativa della genitorialità, ma coinvolge anche profili diversi, che non possono qui essere discussi, dovendo necessariamente coinvolgere un corpo terzo femminile (v. Niccolai). Basti ricordare che il dibattito sul punto è molto acceso (v. Zamberini (b) e Zamperini (c))

In conclusione, la legge n. 40 cerca di mantenere un modello “naturale” di genitorialità che la stessa esistenza delle tecniche di PMA mette irrimediabilmente in crisi. La finalità terapeutica delle tecniche in questione (ex art. 1, co. 2) non sembra più sufficiente a giustificare l’esclusione delle coppie omoaffettive (almeno in riferimento, per le ragioni sopraesposte, a quelle femminili). Non pare corretto identificare nella sola famiglia eterosessuale «il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato» (come invece sostenuto dalla Corte con sent. n. 221/2019). 

Peraltro, il discorso presuppone una riflessione sul carattere eteronormativo dell’ordinamento italiano nel suo complesso, anche riflettendo sull’irragionevole esclusione delle coppie omoaffettive dalla disciplina dell’adozione (in tal caso certamente ricomprendendo anche le coppie omoaffettive maschili).  

Rimane viva la speranza che la Corte, nel vagliare le questioni sollevate, valuti il fondamento costituzionale dell’autodeterminazione riproduttiva (anche al di là del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost), nel senso di riconoscere la cura e tutte le attività ad essa connesse il vero fondamento del modello di famiglia e di genitorialità costituzionalmente tutelato (superando la centralità del legame genetico tra genitori e nato).

In ogni caso, le questioni esaminate confermano ulteriormente come la Corte costituzionale rappresenti ormai l’unica valvola di sfogo delle nuove istanze sociali e relazionali, di fronte alle quali il silenzio del legislatore si fa sempre più assordante. 

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